venerdì 29 giugno 2007

Il venditore di armi

Immaginate di dover rompere il braccio a qualcuno.
Destro o sinistro, non importa. Il punto è che dovete romperlo, perché se no... be', nemmeno questo importa. Diciamo che se non lo fate vi succederanno brutte cose.
Ora, la mia domanda è questa: rompete il braccio in fretta (snap, ahi!, scusi, mi permetta di aiutarla con questa stecca di fortuna), oppure trascinate la faccenda per otto minuti buoni, aumentando di tanto in tanto la pressione a dosi minime, finché il dolore diventa rosa e verde e caldo e freddo e del tutto insopportabile, da ululare?
Appunto. Ovvio. La cosa giusta da fare, l'unica cosa da fare, è concludere alla massima velocità possibile. Rompere il braccio, offrire un brandy, fare il bravo ragazzo. Non possono esserci altri risposte.
A meno che.
E se odiaste la persona alla quale è attaccato il braccio? Se la odiaste proprio sul serio?
Hugh Laurie, "Il venditore di armi" (Marsilio, 2007).

sabato 23 giugno 2007

The Ventures Revolution

Chi ha avuto la sfortuna di vedere il terrificante "Amazing Lives of the Fast Food Grifters" di Mamoru Oshii al Festival di Venezia 2006 e non si è addormentato prima, ha sentito il narratore dire che nella seconda metà degli anni Settanta la calata in Giappone della band statunitense dei Ventures ha rivoluzionato la musica nipponica.
I Ventures sono stati uno dei più apprezzati combo degli anni Sessanta - ossia un quartetto composto da due chitarre soliste, un basso e una batteria, senza tastiere né voce. La loro musica - a tratti commerciale, a tratti sperimentale, sempre tecnicamente eccellente - ha influenzato gente come gli Who, Gene Simmons, George Harrison, Peter Frampton, Max Weinberg, Aerosmith, Steely Dan, Eagles...
Virtualmente dimenticati dal pubblico statunitense dopo appena un decennio di attività, i Ventures sono tutt'oggi attivissimi in concerti dal vivo, quarant'anni dopo la loro formazione. Io li ho scoperti ascoltando la cover di un loro brano nella colonna sonora di "Pulp Fiction" e da allora non li ho più lasciati. Qui sotto ci sono una manciata di loro video, antichi e recenti. Sempre grandissimi.











martedì 19 giugno 2007

Cannes e dintorni

E' finita ieri la rassegna che ha presentato a Milano (ma anche a Roma) alcuni dei film presentati nelle varie sezioni dell'ultimo Festival di Cannes, la prima che riesco a seguire decentemente da tre anni a questa parte. E prima o poi mi riuscirà anche di andare al Festival di Cannes quello vero...
Comunque, ne approfitto per rendere pubblico il mio personalissimo cartellino, mettendo in fila i film dal migliore al peggiore, tra sorprese e delusioni, amici e nemici, belle tipe che non la danno e sedicenni che la darebbero ma non voglio finire in galera...

"Le scaphandre et le papillon", dramma di Julian Schnabel: 9.
Un capolavoro, tratto dalla vera storia dell'ex caporedattore di 'Elle' e premiato come miglior regia. Può ricordare il bellissimo "Mare dentro" di Amenabar ma assomiglia forse più a "E Johnny prese il fucile" di Dalton Trumbo, con il protagonista paralizzato a letto. Questo riesce comunque ad essere ancor più emozionante. Ed è girato davvero bene, confermando il talento visivo di Schnabel (che di mestiere fa il pittore). Uscirà distribuito da Bim.

"Vidange perdue" dramma di Geoffrey Enthoven: 8.
E' il film che ha vinto il Bergamo Film Meeting, e con pieno merito. La storia di un 85enne che cerca di rimettersi in pista dopo la morte della moglie. Divertente e toccante, benissimo recitato e mai banale. E sa parlare agli spettatori di ogni età. Speriamo arrivi anche nei nostri cinema, perché è vero che non farà una lira ma merita risalto.

"Mio fratello è figlio unico" dramma di Daniele Luchetti: 7.
Visto ai tempi dell'uscita italiana. Un ottimo prodotto, decisamente superiore anche al più blasonato "Romanzo criminale". Qualitativamente meritava il concorso, ma era la 60a edizione e il Festival ha voluto solo film inediti in Europa.

"Persepolis" cartone animato di Marjane Satrapi & Vincent Paronnaud: 7.
Tratto dall'omonimo fumetto, un cartone animato visivamente curioso ma molto interessante. Il modo in cui la storia della ragazza iraniana che fugge quando arrivano i talebani è raccontata col giusto ritmo e la giusta emozione. Funzionerà alla grande, quando la Bim lo distribuirà in Italia.

"Caramel" commedia sentimentale di Nadine Labaki: 7.
Mi ha ricordato un po' "Tutto su mia madre", ma forse avevo bevuto troppo prima della proiezione. Comunque sia, una commedia frizzante anche se forse un po' scontata. Brave le attrici, bella confezione. Uscirà distribuito da LadyFilm.

"Control" dramma di Anton Corbijn: 7.
La breve e tribolata vita di Ian Curtis, cantante dei Joy Division a fine anni Settanta. Girato in un meraviglioso bianco e nero, racconta bene la storia del gruppo e del suo leader anche a chi non ne sa nulla, ma non riesce a trasmettere l'amore per la loro musica a chi già non la apprezza. Bravo il protagonista Sam Riley, e brava anche Alexandra Maria Lara, che sarà protagonista del prossimo film di Francis Ford Coppola. Non so quale sarà la sua sorte distributiva.

"L'âge des ténèbres" commedia di Denys Arcand: 7.
La terza parte della trilogia iniziata con "Il crollo dell'impero americano" e proseguita con "Le invasioni barbariche". E' a tratti molti diventente, ma molte gag sono scontate e la satira un po' spuntata. Arcand non è mai stato un gran regista, ma è sempre stato uno sceneggiatore snob. E qui si conferma, nonostante il buon risultato globale. Uscirà distribuito da Bim.

"XXY" dramma di Lucia Puenzo: 6/7.
Poco pubblicizzato ma molto interessante, racconta le difficoltà di crescere di una ragazzina sudamericana che si sente un mostro per via di un difetto genetico. Girato senza inventiva, ma scritto con molta lucidità. Esce il 22 giugno distribuito da Teodora.

"Paranoid Park" dramma di Gus Van Sant: 6.5.
Gus Van Sant rifà il se stesso di "Elephant", ma convince ancora meno. La storia di un ragazzino confuso fino allo sbando, tra flashback e aggrovigliamenti inutili. Non è brutto, ma finisce per essere inconcludente. Uscirà con Lucky Red.

"Auf der anderen Seite" ("The Edge of Heaven") dramma di Fatih Akin: 6.
La seconda parte della trilogia sul rapporto tra la Germania e i turchi, dal regista de "La sposa turca". Un buon film, ma poco spontaneo nel modo in cui le storie si incrociano tra loro. Il modello è probabilmente "Prima della pioggia", ma il film di Manchevski sapeva volar alto, questo invece non emoziona mai e ha dei personaggi rivedibili. Sarà distribuito da Bim.

"Smiley Face" commedia di Gregg Araki: 6.
Una commedia tossica e sconclusionata come questa non era esattamente quello che ci si aspettava dal regista del buon "Mysterious Skin", ma comunque diverte, ed è tutto quello che gli si deve chiedere. Uscirà distribuito da Mikado.

"Zodiac" thriller di David Fincher: 6.
Troppo lento. Troppo troppo lento e cervellotico, un film lunghissimo che trova il giusto ritmo solo nella seconda parte, quando il protagonista diventa a tutti gli effetti Jake Gyllenhaal. Certo qualche scena funziona alla grande, ma il film nella sua interezza proprio no. Anche questo l'avevo visto quand'era uscito in sala.

"4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" dramma di Christina Mungiu: 6.
La Palma d'oro. Rubata peggio del Leone veneziano a "Still Life". E' un film piccolo nonostante il tema importante, con un regista che pensa di essere i Dardenne, che ci racconta solo metà della storia e deve giocare sporco al momento buono per sperare di emozionare lo spettatore. Ma non ci riesce. Quelli che l'hanno trovato meraviglioso dovrebbe imparare cos'è il cinema prima di aprire bocca. Distribuzione Lucky Red.

"Centochiodi " dramma di Ermanno Olmi: 6.
Visto ai tempi dell'uscita in sala. E' il classico film di Ermanno Olmi, "contro il logorio della vita moderna", ma si vede che il maestro bergamasco non ce la fa più. E stendiamo un velo su Raz Degan e Luna Bedandi.

"We Own the Night" poliziesco di James Gray: 6.
Un film banale e stravisto, che proprio non si capisce per quale motivo fosse al Festival, e per di più in concorso. Il regista di "Little Odessa" tenta di nuovo la carta etnica, ma neanche Scorsese sarebbe riuscito a fare di questo filmetto un film davvero degno del nostro tempo. Però lui forse non sarebbe caduto così fragorosamente nell'ultima parte. Un ottimo cast buttato alle ortiche. Esce a fine agosto per la Bim.

"Le voyage du ballon rouge" dramma di Hou Hsiao-Hsien: 5.
Un film francese diretto da un regista cinese. Quindi con personaggi isterici e dialoghi infiniti, e piani sequenza in ogni dove. Insopportabile, ma ovviamente gli orientalisti hanno avuto un orgasmo, guardandolo.

"Tehilim" dramma di Raphael Nadjari: 5.
Nella conferenza stampa di presentazione della rassegna Mereghetti l'aveva indicato come uno dei migliori film del Festival. Invece è una rottura di coglioni incredibile, con una famiglia ebrea che cerca di scendere a patti con l'improvvisa scomparsa (nel senso che è scappato non si sa dove) del capofamiglia.

"Gegenuber" dramma di Jan Bonny: 4.
Un poliziotto vive con una moglie manesca, che lo riempie di botte dalla mattina alla sera e s'incazza come una bestia quando lui ottiene una promozione e lei si sente sminuita. Top del film: lui arriva a casa e la trova che cavalca il suo migliore amico, allora si siede a tavola e cena in silenzio mentre i due scopano a due metri di distanza. Opera prima, e speriamo ultima.

"Après lui" dramma di Gael Morel: 3.
Catherine Deneuve perde l'amato figlio in un incidente d'auto e va talmente fuori di testa da volerlo sostituire col suo migliore amico, che è proprio colui che ha guidato l'auto contro l'albero. Top del film: lei che guarda i ragazzi uscire dalla scuola in cui studiava il figlio, ne approccia uno e lui scappa convinto di trovarsi davanti una pedofila.

"La France" dramma bellico di Serge Bozon: 3.
Francia, Prima Guerra Mondiale. Una donna riceva una lettera da parte del fidanzato al fronte, che le dice di dimenticarlo perché non si vedranno mai più. Indomita, la ragazza si taglia e capelli e si mette in cammino per il fronte per ritrovare l'amato, aggregandosi ad un plotone di soldati francesi che davanti ai momenti di crisi ha l'abitudine di farsi una bella cantata. Disgustorama.

"La influencia" dramma di Pedro Aguilera: 2.
Una madre single è malata e depressa: il suo negozio di articoli femminili va male e riceve lo sfratto, la scuola dei figli le chiede di pagare la retta e lei non trova di meglio da fare che scoparsi uno che usa il suo stesso antinfluenzale e andare al supermercato a rubare dvd. Alla fine muore di polomite e i figlioletti vivono felici e contenti. Una delle cose più terribili che ho mai visto sul grande schermo.

domenica 10 giugno 2007

Quelle che...

Quelle che giudicano un uomo dalla circonferenza dei bicipiti.

Quelle che giudicano un uomo dalla lunghezza dell'uccello.

Quelle che giudicano un uomo dal conto in banca.

Quelle che fanno tutte e tre queste cose.

Quelle che guardano i vestiti di un uomo prima del viso.

Quelle che invece di ragionare col cervello ragionano con un'altra parte del corpo, come i peggiori degli uomini.

Quelle che credono di essere sulla cima del mondo e invece sono nella valle più profonda della Terra.

Quelle che "sì, dai: usciamo insieme, però non lo deve sapere nessuno".

Quelle che "ti comporti così perché tu le donne le odi".

Quelle che "ti comporti così perché sei solo un moralista del cazzo".

Quelle che "ti comporti così perché sei un represso".

Quelle che quando hanno il ciclo se ne accorge tutto il mondo.

Quelle che se la sera prima il fidanzato non le ha scopate se ne accorge tutto il mondo.

Quelle che in pubblico sono una persona e in privato una persona completamente diversa, di solito insopportabile.

Quelle che "Quelle di Sex & the City...".

Quelle che non sono capaci di passare mezza giornata senza parlare di sesso.

Ecco: tutte queste donne, perché non si levano dai coglioni e lasciano spazio alle donne vere?

giovedì 7 giugno 2007

Priceless


domenica 3 giugno 2007

My Life in Pictures (2)

Ok, è comodo dire di assomigliare al personaggio più figo della storia della televisione. E' molto comodo, ma anche molto rischioso, perché è molto facile che chi legge mandi a cagare chi scrive... Però, nel mio caso è anche molto vero.

Il dottor Gregory House è uno "contro" per definizione, ma non per vocazione. In realtà il dottor House se ne frega degli altri, di tutti gli altri, e fa come gli pare. Io pure. O meglio: me ne frego di quello che pensano gli altri, chiunque siano "gli altri". Me ne frego se gli altri approvano o meno quello che faccio, lo faccio e basta perché è la mia, di vita, e nessuno ha diritto di dirmi come viverla. Se vado seguendo la corrente, bene; se vado contro corrente, bene ugualmente: non è l'approvazione degli altri quella che cerco, e in realtà quando la trovo non so mai come reagire.
Il dottor House preferisce non avere a che fare con gli altri, preferisce starsene per conto proprio ma non riesce mai ad avere un momento di privacy anche se per stare da solo si nasconde spesso nei luoghi più improbabili del Princeton-Plainsboro Teaching Hospital. Io pure. A me piace molto starmene da solo a pensare senza avere a che fare con gli altri, ma alla fine ho sempre mille persone che mi girano intorno. E purtroppo, ho un solo luogo in cui nascondermi quando voglio andare in camera di decompressione.
Il dottor House è sarcastico e cattivo, quando vuole anche bastardo. Ma quando vuole sa essere davvero bastardo. Io pure. In effetti sono più caustico che sarcastico, ma quando voglio essere bastardo so esserlo alla grande. Anche perché ho l'abitudine di ascoltare, quando parlo con gli altri, e ho una buona memoria per ciò che mi si dice quindi viene facile fare in modo che gli altri si pentano di quello che hanno detto. Ma per fortuna delle mille persone che mi girano intorno, è molto molto raro che io voglia essere davvero bastardo.
Il dottor House è uno che ragiona sempre col cervello invece con altre parti del corpo, che vive in maniera che ad altri può sembrare trattenuta o persino repressa e che ama passare il tempo facendo cose che altri potrebbero non trovare divertenti. Io pure. E non c'è bisogno di aggiungere altro.
Il dottor House ama il suo lavoro e lo fa con il massimo dell'impegno, anche se non sopporta i suoi pazienti. Io pure. Io amo talmente il mio lavoro da essere disposto a farlo per molti meno soldi di quanti ne prende Hugh Laurie, eppure non sopporto l'ambiente in cui lavoro, fatta eccezione per un ristrettissimo gruppo di persone. E non sopporto chi il nostro lavoro lo fa con sufficienza e poca professionalità.
Potrei dire che il dottor House apprezza il lavoro dei suoi collaboratori anche se non glielo fa mai notare, ma se per caso qualche mio collaboratore dovesse leggere questo post pensarebbe che io apprezzi il suo lavoro.
Il dottor House è dipendente dal Vicodin. Io pure. La mia droga si chiama Julie, ma cambia poco: non riesco a concepire la mia vita senza guardare film, e non riesco a non provare interesse per la maggior parte dei film che vengono realizzati. E questo, ovviamente, finisce per influenzare pesantemente la mia vita, come se fossi davvero un drogato. No, anzi: io sono un drogato.
Il dottor House ha le spalle rotonde, o per lo meno questa è l'impressione che vuol dare. Qualunque cosa gli accada o gli si dica, lui sorride beffardamente, fa un battuta e se ne va via tranquillo. Io pure. Con la differenza che di solito non me ne vado. E mentre il dottor House a casa propria suona il piano o la chitarra riflettendo su quanto gli è accaduto durante la giornata, io al massimo posso stendermi sul letto e riascoltare per la millesima volta "The Tracks of My Tears" di Smokey Robinson.

Sì, insomma: il dottor House sono io, solo che mi faccio la barba e non vado a puttane.